«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

I Vasceddi ri Junciu (Le fiscelle di giunco)


I movimenti delle mani, le dita che intrecciano, che si incrociano, si articolano, si rincorrono senza tregua, mettono in evidenza un "sapere" di lunga e antica esperienza, un "sapere" mirabile.



Oggi è invalsa la moda di attribuire ai manufatti del passato una funzione estetica o ornamentale che essi non possedevano quando la loro funzione era essenzialmente pratica e di uso quotidiano. Essi stessi anzi, come prodotto e risultato di tecniche diverse, costituivano quella che si dice la cultura materiale propria di una data società.
Di certo non esistono popoli che non posseggano una qualche tecnica, anche rudimentale, per l'intreccio di canestri e cestini che, sicuramente, sono stati tra i primi contenitori usati dall'uomo fin dai primordi. L'intreccio per scopi pratici o ornamentali, dunque, è tra le più antiche arti popolari praticate dall'uomo; storicamente anticipa la produzione della ceramica e dà il via alla tecnica della tessitura.
Il giunco, la palma nana,  quella da datteri, la liama (ampelodesmo), la canna, i virgulti d'ulivo, l'agave, il salice , la rafia, i culmi delle spighe, ecc., tutte queste fibre, tenere e flessibili, vengono utilizzate ancora oggi nella tradizione contadina e pastorale (e in qualche caso anche nel campo artigianale), per l'intreccio di oggetti di utilità pratica o con valenza apotropaica.
Anticamente il formaggio, a seconda delle zone e dei tempi, veniva scodellato con la vaciledda nelle fiscelle confezionate con listelli di legno o di canna (ncannate) o con foglie di curina (palma nana). In un secondo momento si è passati a quelle di giunco (in questo caso lo "juncus pungens"), per finire oggi, ineluttabilmente, in quelle di plastica, più igieniche e più pratiche perchè più facili da lavare.
Il culaquagghiu e le fiscelle di giunco (chiamate anche mpastalori), sono a tutt'oggi usati dai pastori iblei perchè il prodotto caseario, a contatto con questa materia naturale, non subisce nessuna  alterazione.
A parte la cultura dell'autosufficienza presente in tutte la civiltà agropastorali, una volta erano parecchi i contadini che, nei periodi morti della stagione agricola, diventavano artigiani a tempo e dell'intreccio ne facevano quasi un mestiere, come succedeva ad esempio nel Lentinese e nel Modicano. Oggi sono rimasti in pochissimi ad avere questa passione e a fare questo tipo lavoro e la loro opera si limita quasi esclusivamente al fabbisogno personale o a qualche modesta fornitura per terzi.

I vasceddi ri junciu
La signora Maria è abilissima nell'intrecciare le fiscelle di giunco: vive assieme al marito in un appezzamento di contrada Chiappa, in territorio di Buscemi.
La casetta è abbarbicata sul crinale di una costa che sovrasta una delle tante piccole vallate della zona. La stanza-laboratorio è piccola e un po' buia, fornita di poche suppellettili: un tavolo con una incerata a scacchi, alcune sedie impagliate, il forno a pietra, un imponente lavamano in ferro sotto un'angusta finestra sui cui vetri picchiano con violenza la pioggia e i tuoni dell'improvviso temporale che si appena è scatenato.
La donna con accanto un bel fascio di giunco ancora umido, si siede su una sedia bassa, appoggia i piedi sulla caviglia anteriore di un altra sigghitedda, e, senza por tempo in mezzo, incomincia a ordire il fondo di una enorme vascedda. Le dita scorrono subito leste e sicure tra i fili che incominciano ad accavallarsi e ad annodarsi. Un po' a disagio per il timore di interrompere un ritmo così incalzante, provo a fare qualche domanda.
Signora Maria, chi vi fornisce u junciu?
"Noi stessi andiamo a raccoglierlo, cresce spontaneo (la signora continua a lavorare, senza alzare gli occhi). Prima andavamo a coglierlo qui vicino, in contrada "Bonaiuto" dove c'era un pezzo di marciu, una specie di pantano con acqua salina. Quando poi hanno bonificato la zona, ci siamo diretti presso la foce dell'Irminio vicino Marina di Ragusa; lì ce n'era un mare. Abbiamo raccolto a piene mani per cinque anni, poi nel 1981 la foce è diventata "Riserva Naturale" ed è tutto finito. Ora andiamo a prenderlo al Simeto... partiamo con la nostra "126", attrezzati di decespugliatore".
Qual è il periodo migliore per la raccolta di questa fibra?
"Si raccoglie da giugno fino a metà agosto e quindi si mette ad asciugare al sole fino a quando si fa bello bianco, bianco-giallino; all'atto di "tesserlo" si mette a mollo il giorno prima, per renderlo più flessibile”.
Come si inizia la lavorazione della vascedda?
"Si incomincia dal fondo (settu). Si parte con l'orditura a spirale del nucleo centrale, quindi si chiude con una  treccia circolare e poi si continua con la trama. Anche questa si chiude con una treccia che costituisce il bordo della base sulla quale si innestano dei fili montanti in gruppi di tre, quattro, cinque (alcuni inseriscono anche stecche di legno o di canna) e di spessore proporzionato alle dimensioni del manufatto, che andranno  a formare l'impalcatura delle pareti. Bisogna però stare molto attenti a maniari questi fili perchè hanno la punta con la spina. Appena il fondo è finito si ci piazza una forma di compensato, simile ad un crivu senza fondo, di uguale diametro, che serve come guida ed  appoggio su cui imbastire le pareti".
La donna padroneggia la materia con una perizia straordinaria, una sequenza rituale di gesti e posture che è difficile descrivere, un groviglio di fili che sbucano e svettano da tutte le parti. I movimenti delle mani, le dita che intrecciano, che si incrociano, si articolano, si rincorrono senza tregua, mettono in evidenza un "sapere" di lunga e antica esperienza, un "sapere" mirabile.
La materia continua a prendere forma. Facendo ruotare su se stesso il manufatto, vengono innestati a giro dei fili robusti serrati con forza sulle pareti in formazione; è un incessante mulinare di scie e traiettorie simili a quelle effimere di   una ruota d'artificio.
"La vascedda -continua la signora- si chiude nel bordo superiore con una treccia e una controtreccia che sono date dai fasci delle liste montanti che via via sono state innestate sulle pareti".
Quanto tempo impiega per completare una fiscella così grande?
"Per una fiscella di 30 kg ci vogliono 3-4 ore; un'ora e mezza, circa, ci vuole per farne una di un kg. Io le faccio di tutte le misure: di 2 kg, di 3 kg, di 5, di 10, fino a 30 Kg che è la misura massima. Ne faccio anche di piccolissime che vengono utilizzate come souvenir o soprammobili: le vendono nelle fiere di paese"
E' finito di piovere ed è arrivato, fradicio di pioggia, il cognato con la vecchia asina carica di due bidoni d'acqua  attinta dalla cisterna alimentata dal vicino lavinaru alle spalle del caseggiato. La signora Maria, nel frattempo, vuol farmi vedere  l'assortimento delle sue fiscelle al completo: le esce l'una dall'altra, ad una ad una, come delle matrioske, e le mette in bella mostra sul tavolo con l'incerata a scacchi azzurri.

Il Corriere degli Iblei, marzo 1997

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