«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Il venditore di medicina per i calli

San Cristoforo, gran camminatore.


Il callo è un piccolo ispessimento dello strato corneo dell’epidermide, che, sottoposto a ripetuta pressione, tende ad addentrarsi in profondità provocando dolore anche di notevole intensità. 

Sede elettiva sono le superfici dorsali delle dita dei piedi in corrispondenza delle articolazioni delle falangi. Il callifugo (lat. callus, callo e fugus, che mette in fuga) è un impiastro all’acido salicilico, con azione cheratolitica, finalizzata cioè a rimuovere calli e duroni. Nei casi complicati o ostinati si ricorre ad asportazione mediante bisturi.

Antichi rimedi empirici
Per il “problema calli” non ci sono né scongiuri né  rimedi soprannaturali che tengano. Lo stesso Giuseppe Bonomo, autore del volume  Scongiuri del popolo siciliano, in cui sono riportati migliaia di scongiuri e pratiche contro “fatture” patologie e problemi di qualsiasi natura, non riporta alcunché in merito. I rimedi quindi erano pratici, tramandati dall’esperienza degli anziani e quasi tutti avevano la funzione di rammollire il callo per affrettarne e agevolarne il distacco. Gli impiastri e piacevolezze del genere venivano applicati sulla parte dolente e davano la sensazione di un effimero sollievo.
Pitrè ci fa conoscere un nutrito elenco di questi pseudo toccasana, tutti da applicare: un pezzettino di carne vaccina fresca, un po’ di ‘mpiastru di donna Vanna, una fettina di limone arrostita, una foglia di sempreviva o carciofetto (Sempervivum arboreum), una foglia di ellera o di fava ‘nversa (fabaria, sedum teleptricum). Si può utilizzare anche un crastuni, pesto oppure ancora vivo. In questo caso bisogna tenerlo sulla parte dolorante fino a quando non muore e quindi lo si mette ad asciugare all’aria: appena diventa secco secca anche il callo e cade. Atroce il rimedio (di reminiscenza medioevale) dello zolfo o del lardo bollente da fare sgocciolare sulla parte interessata .
Si possono, inoltre, fare delle applicazioni con l’erba di li caddi identificata sia con la citata sempreviva, sia con la celidonia (si utilizza il lattice giallo secreto dal fusto) e sia con il noto Ombelico di Venere o auriccia di veccia (Umbilicus pendulinus) . Anche le gocce di erbe svedesi, spennellate sulla parte, pare che siano di grande effetto lenitivo.

 La medicina per i calli

“Calli e duroni si staccano come se fossero carta bagnata” così recitava lo slogan del callicida ”Edorf” la cui formula segreta era dovuta ad un erborista austriaco. “Se il callifugo Ciccarelli usar non vuoi, perdi tempo e denaro e i calli restan tuoi”: questo, invece, era lo slogan del callifugo Ciccarelli, il più popolare e pubblicizzato di questo genere di prodotti. E poi ce n’erano tanti altri ancora i cui slogan e proprietà miracolose imperversavano sui settimanali di stampo popolare, sui fotoromanzi e altre pubblicazioni.
Ma non erano i soli. C’erano altri callifughi “ruspanti” che, pur non avendo il crisma di siffatta pubblicità, venivano largamente venduti sulle bancarelle ambulanti. Ancora sino ad una quarantina di anni fa, di domenica, nelle piazze di paese, arrivavano i venditori di medicina per i calli. La scelta del giorno non era casuale perché proprio la domenica era il giorno in cui i contadini (dalle scarpe grosse) rientravano dalla campagna, e fra le tante incombenze (dal barbiere per la barba, dal maniscalco per ferrare a viestia, ecc.), si preoccupavano pure di cercare di risolvere i problemi riguardanti i calli dei propri piedi.
Questi medicamenti prodigiosi, enfatizzati dalla segretezza della formula, di solito portavano nomi di santi: il più inflazionato era S. Cristoforo, seguivano S. Luigi, S. Antonio, e così via. Chissà perché. Forse perché "consacrando" il preparato ad un santo il venditore si sentiva protetto da una sorta di aura sacrale?  Le guarigioni “miracolose” pertanto erano legate ad un doppio filo. Da un lato la bontà del prodotto e dall’altro, a rinforzo, la taumaturgia celestiale. Inoltre i clienti subivano una sorta di condizionamento dovuto alla palpabile presenza iconografica del santo.
Chi meglio di S. Cristoforo, allora, essendo questi “colui che porta il Cristo” (un giovane barbuto mentre attraversa le acque con un Gesù Bambino sulla spalla e con il globo in una mano, è questa l’iconografia più ricorrente) e quindi un gran camminatore (fra l’altro pare che avesse dei piedi ciclopici) e come tale protettore dei viandanti (una volta sul cruscotto delle auto non mancava mai la placchetta con il santino e la scritta “S. Cristoforo proteggimi”) avrebbe potuto garantire l'efficacia dell'unguento a tutti coloro che erano afflitti dal fastidioso problema? E allora vada per S. Cristoforo, ma per gli altri santi?  Qual è la loro attinenza con il ritrovato che promette mirabilie? I santi menzionati erano concorrenti o, al contrario, erano soci organizzati in cooperativa?

La medicina per i calli in piazza del popolo a  Palazzolo
A Palazzolo, una domenica sì e una no, con due valige in mano, si presentava in Piazza del Popolo di buon mattino uno di questi dispensatori itineranti di felicità. Dalla prima valigia tirava fuori dei tubi nichelati e in quattro e quattr’otto metteva su la sua brava bancarella, sul marciapiedi sotto la lapide dedicata ai caduti. Dall’altra tirava fuori la merce da esporre. Il banchetto era caratterizzato da uno striscione di tessuto tenuto alto trasversalmente da due robusti montanti con un S. Cristoforo dal piedone ben in evidenza. Era il traguardo, la metà agognata da chi era afflitto dai calli: bastava avvicinarsi, comprare la pomata, applicarla sulla parte dolente e da lì a qualche giorno si finiva di soffrire. Tale striscione svettava sul banco ed era visibile da qualsiasi punto della piazza
Sul piano del banco veniva esposto il prodotto in vendita: una pomata giallo-ocra, racchiusa, come in un prezioso scrigno, in lattine di alluminio rotonde, piatte e anonime. Ma solo un piccolo spazio era occupato da queste scatolette, il rimanente, oltre i tre quarti del piano espositivo, era invaso da un variegato e incartapecorito florilegio di scampoli di tessuto umano degenerato, ovverosia calli. Il venditore li tirava fuori (sembrava un prestigiatore) da un sacchetto bianco di stoffa di “Caffè Pulvirenti” e li sistemava sul piano con meticolosa cura, con devozione quasi, mettendo più in vista i pezzi più rari e bizzarri.
Erano dunque questi calli una sorta di ex voto che i "miracolati", per grazia ricevuta, rimettevano al venditore tra una venuta e l'altra per essere deposti ai piedi del Santo campeggiante sullo striscione. Erano "reliquie":  le prove concrete e tangibili della potenza terapeutica della medicina e taumaturgica del santo. Ce n'erano di tutte le forme, di tutti i colori, di tutte le stagionature: rotondi, ellittici, a guscio di nocciola, a occhio di pernice, a occhio pollino, a conchiglia, simili a croste di parmigiano reggiano: ce n'erano di coriacei, di avvizziti, di glabri, di ondulati: marrone, marroncino chiaro, gialli, arancione. Ce n'erano anche freschi di giornata che qualche cliente, con una punta di orgoglio, si era premurato di portare personalmente a riprova della guarigione: erano ancora quasi caldi e andavano dal biancastro molle al gialliccio.  

Davanti la bancarella stavano a guardare e a sgomitare nugoli di ragazzini, con la bocca aperta, in attesa, come se da un momento all'altro l’emissario del santo avesse dovuto incominciare a distribuire caramelle e cioccolatini. C’era anche chi segnava a dito questo o quel callo come quando davanti le bancarelle dei bomboloni si sceglievano quelli più vistosamente colorati. Addirittura c’era anche chi rivedeva il callo che aveva notato la domenica precedente ancora più coriaceo e più vispo che mai e finiva con l’affezionarcisi.


Il Corriere degli Iblei, giugno 2005

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