«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Strumenti musicali popolari: frischiettu e tammuru


…e supra li carretti, cristiani ca sonanu fischietti e marranzani, omini forti e fimmini baggiani, menzu la festa formanu fistini, ccu tammureddi e canti rusticani,…  


Pan nella mitologia greca era il dio delle campagne e dei pastori. Mezzo uomo e mezzo capro, con le corna in testa (il dio dal piè caprino e dal corno lunare lo chiama D’annunzio), il naso camuso e lo stomaco coperto di stelle, era dotato di una inesauribile vigoria sessuale.
Un giorno, innamorato, corse dietro alla ninfa Siringa che, nel tentativo di sfuggirgli si trasformò in un cespuglio di canne. Pan, per consolarsi tagliò alcune canne e ne fece uno strumento a fiato dal suono melodioso. Di sicuro è quello il progenitore del popolarissimo friscalettu (o frischiettu) siciliano (ma anche calabrese e sardo), il noto zufolo di canna, il più comune degli strumenti pastorali siciliani, compagno inseparabile dei pastori durante le solitarie e monotone giornate di lavoro

U friscalettu
Un tempo i giovani pastori (adduvati, jarzuna) oltre ad imparare a suonare lo zufolo da soli imitando qualche compagno più grande, erano anche capaci di costruirselo. I più creativi sapevano dare a questo strumento un tocco estetico, intagliando figure con la punta di coltello o con la tecnica della pirografia e talvolta aggiungevano vivaci policromie, tutto secondo gli schemi tradizionali propri dell’arte popolare pastorale (le stesse tecniche, gli stessi schemi che utilizzavano per i collari): S. Giorgio, scene cavalleresche, episodi sacri, motivi geometrici, aneddoti storici, ecc. Nella Mostra Etnografica Siciliana di Palermo del 1892, fra i tanti oggetti e materiali fu esposto anche uno zufolo in canna, “il più artistico che si sia visto in Sicilia” (G. Pitrè), con raffigurata la morte di Assalonne (Assalonne, figlio di Davide, fu ucciso con tre bastoni a punta conficcati nel petto). 
I friscaletti oggi li costruiscono artigiani spontanei o del legno che poi li vendono nelle feste (a Zafferana Etnea, in occasione dell’Ottobrata, uno di questi artigiani su un banchetto li confezionava a vista: v. foto), nelle fiere paesane e nei più frequentati centri turistici (a Taormina si trovano in tutti i negozi di souvenir).
Lo zufolo si ricava dalla canna comune ma si può anche ottenere dalla canna “americana” (bambù) e dal bosso. La canna deve essere tagliata nella stagione giusta e sottoposta a lunga stagionatura. Il corpo tubolare, lungo circa 25 cm, ha l’imboccatura con una stretta fessura terminale a becco (la cosiddetta zeppa), ottenuta inserendo uno stelo di canna più piccolo con il nodo chiuso. Attraverso questa fessura, detta a fischietto, passa il fiato dentro il cilindro sotto forma di colonna d’aria. Sulla faccia anteriore del tubo, con una punta di coltello arroventata, si praticano dei fori o chiavi posti su una stessa linea per potere tasteggiare. Soffiando attraverso il becco, e chiudendo e aprendo con i polpastrelli delle dita i vari fori, si produce e si modula il suono. Altri fori vengono praticati sulla faccia posteriore. 
Con il tramonto della civiltà agropastorale, lo zufolo, strumento di compagnia e di festa e che assieme allo scacciapensieri era lo strumento più suonato in Sicilia, ormai non si suona più. Oltre ai pastori, l’hanno messo al chiodo anche quegli appassionati suonatori che non perdevano occasione per dare gran fiato al loro fidato strumento: si suonava in occasione degli sposalizi del così detto “ceto basso”, si suonava per carnevale, nei fistini, nelle aie durante la raccolta del frumento, in occasione di lieti eventi. Oggi tuttavia è possibile sentire qualche friscalittaru nelle sagre o in occasioni particolari o in qualche evento culturale. A questo proposito il 19 di questo mese, nel cortile antistante la Casa-museo Antonino Uccello di Palazzolo Acreide, ha tenuto un applaudito concerto il musicista Carmelo Salemi con il suo gruppo.
        
Feste e fistini di una volta
Oltre ad essere suonato a solo, il friscalettu può essere suonato in accompagnamento con altri strumenti in modo particolare con il tamburello con i sonagli (cembalo).
In occasione di sposalizi, dopo la cerimonia in chiesa e dopo la distribuzione re spinnagghi  a base di calia, dolci e rosolio, la sera si festeggiava con balli al suono di frischiettu e tammuru, ma anche con qualche orchestrina e infine, negli ultimi tempi di quella temperie, anche la “macchinetta parlante”.
Per Carnevale, la domenica pomeriggio, nei fistini, nelle feste popolari, si organizzava il purpu una festa da ballo “bassa e volgare” (S. M. Storaci, 1875). In questo ballo, animato di solito da questi due strumenti contadineschi, si suonava la polka, la mazurca, si faceva la quadriglia, si ballava la tarantella, il chiovu. Il ceto medio per contro ballava la contraddanza, il valzer, ecc.
A Palazzolo il purpu si organizzava pure il 1° settembre, giorno di san Ciliu (sant’Egidio), quando si ingaggiavano i garzoni ad anno (adduvati): “La sera, poi, i fortunati che si sono allogati si riuniscono in gruppi di otto, dieci o più, e facendo baldoria, caracollano per le vie del paese. Fino a tarda ora in varie stanze a pianterreno c’è occasionalmente ‘u purpu, cioè frischiettu e tammuru. E ivi danzano i contadini e fanno coi i piedi i più difficili ghirigori e le più arrischiate pirolette” (G. Pitrè, 1900).
A tempo di messe, ancora fino agli anni ’50, la sera dopo aver consumato il maccu di fave, jarzuni, jurnatari e misaluori, improvvisavano canti e balli al suono di frischiettu e tammuru o dell’organetto o di altro e intanto i più piccoli, prima di addormentarsi, facevano ddutti e cazzicatummili nell’aia.
Era il tempo, questo, della grande calura e per aie e campagne,   gironzolavano anche i cerauli, uomini che avevano il potere di ciarmare i rettili e di far guarire da certe malattie. Lo zufolo era lo strumento d’eccellenza per le loro imprese: “… traeva da un piccolo zufolo di canna, suoni prima lenti e rotti come piccoli sibili di avviso e poscia sempre più acuti e rapidi come il fischio delle serpi in amore, quando nella canicola stanno erette e sibilanti sui muri per l’accoppiamento… una nera testa di serpe, dagli occhietti lucidi e dalla sottile lingua vibrante, si affacciava timida ed incerta. Lo zufolio diventava dolce, con modulazioni quasi di richiamo, e allora il colubro…” (A. Italia, 1940).   

Frischiettu e tammuru
Nun cc’è festa senza tammureddu”. Per festa si può intendere quella religiosa o la fiera e quindi… bancarelle, su cui, per la gioia dei bambini, non mancavano mai i tammureddi. A Melilli ancora oggi, il 4 maggio, giorno della solennità di san Sebastiano, il loggiato della piazza omonima, a sinistra della chiesa, è pieno di bancarelle stracolme di tamburelli che in questa occasione recano dipinta sulla membrana l’immagine del martire frecciato. Di solito lo stereotipo di queste figure, tratteggiato sempre in modo grossolano, è costituito dal carretto siciliano oppure dall’Etna fumante e più comunemente da una figura di donna-bambola. Riguardo a quest’ultimo soggetto, quando si voleva svilire od offendere una donna vestita e truccata in modo vistoso o volgare le si dava l’epiteto di pupa di tammureddu.
Per festa si intende anche la festa popolare fatta di balli, di canti e di suoni: qui il tamburello era sempre presente e, naturalmente, accompagnava lo zufolo di canna. Per la tarantella era poi indispensabile. Come era indispensabile, suonato assieme allo zufolo, per guarire magicamente dal morso provocato dalle tarantole ballerine.       
U tammureddu costa di una membrana di pelle, tesa su di un cerchio di legno, su cui sono inseriti a distanze regolari coppie di girelline metalliche. Si suona tenendolo nella mano sinistra: può essere agitato senza soluzione di continuità, ottenendo così il caratteristico suono scintillante dato dalla percussione delle coppie di dischetti; può essere percosso con il pollice, in modo da ottenere una percussione dei dischetti più lieve; infine può essere  percosso con i polpastrelli o con le nocche.  
Il Corriere degli Iblei, maggio 2007

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