«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

Il carretto, da veicolo ad oggetto di folklore e cultura

"Il carretto siciliano? Il poema più originale e più suggestivo che vi sia". (R. Bazin)

PALAZZOLO. I cinque carretti siciliani presenti alla sfilata dei carri allegorici del carnevale di Palazzolo, ci danno l'occasione per scrivere qualche nota relativa a questo manufatto popolare che, per oltre un secolo, è stato il mezzo di trasporto più diffuso in Sicilia.

Il pittore del primo dei carretti di cui sopra, quello cioè su cui aveva preso posto anche Jo Squillo, è Domenico Di Mauro di Aci San'Antonio che, a 88 anni suonati, ancora oggi continua a lavorare con la stessa passione del primo giorno: il masciddaru di sinistra,  infatti, era così firmato: Domenico Di Mauro, 16.12.2001. Le opere di questo artista si trovano esposte nei musei di tutto il mondo, Quirinale e Vaticano compresi.

Le origini del carretto siciliano
Nei primi decenni dell'Ottocento le strade dell'isola erano tali da consentire il transito ai soli muli. In seguito, dal 1839 al 1860, furono costruite centinaia di chilometri di strade che favorirono il diffondersi del carretto anche se, subito dopo questo mezzo fu costretto ad affrontare la  concorrenza della ferrovia (dal 1863). La vera crisi, e quindi la graduale scomparsa del carretto, inizia negli anni '50 del secolo scorso con l'avvento dell'Ape (1952) e della Seicento (1954). Il carretto, oltre ad essere utilizzato come mezzo di lavoro per il trasporto di derrate e merci varie, era anche mezzo di locomozione proprio del mondo contadino e popolare. 
Oggi i carretti siciliani si possono ammirare oltre che nei Musei (in Sicilia: Museo ibleo delle arti e tradizioni popolari di Modica, Museo-serra di G. Virgadavola nei pressi di S. Croce Camerina, Museo Ventimiglia di Terrasini, ecc.), anche nelle varie manifestazioni che ogni anno vengono organizzate in diversi centri dell'isola: ad Agrigento per la "Festa del Mandorlo in fiore", a Trecastagni per la festa di Sant'Alfio, a Floridia per Pasqua, a Taormina, a Militello,  ecc.     
Il carretto da mezzo di trasporto è diventato, dunque, un vero e proprio oggetto d'arte, simbolo della Sicilia, ma è entrato soprattutto a far parte integrante del nostro patrimonio folkloristico e culturale.

La struttura e le sculture
Il carretto siciliano si compone da circa 90 elementi. Alla sua costruzione concorrono il carradore (carrittaru), il fabbro, lo scultore, il pittore. U siddunaru, invece, "veste" il cavallo con variopinte bardature e smaglianti finimenti (armigghi). La prorompente bardatura festiva, in particolare, fatta di pennacchi, piume, pettorali, sottopancia, specchi, galloni, nastri, richiama antichi fasti di stile spagnolesco.
Le parti strutturali più importanti del carro sono: la cassa, le stanghe, le fiancate, il portello, la chiave, a cascia i fusu, le mensole, le ruote (a dodici o quattordici raggi), altissime, e molto adatte a percorrere le sconnesse strade dell'isola. L'intaglio (a mandorla), insieme alla pittura, decora e impreziosisce tutte queste parti del carretto compresi i raggi e i pilastri. 

La cassa del carretto poggia su due mensole e sulla cascia i fusu che a sua volta alloggia su un asse di ferro (fusu) alle cui estremità sono fissate le ruote.
E' questa la parte "sacrale" del carro, composta da sculture in bassorilievo ed elementi ornamentali in ferro battuto chiamati rabischi. Il punto mediano della cascia è il pizzu con scolpite immagini sacre (S. Giorgio, la Sacra Famiglia). In questo pezzo, in genere sono incisi il nome e il paese del carradore. I rabischi sono composti da aquile, delfini, foglie, trombettieri,   cavalli, leoni, uccelli, fiori, bandiere, paladini, angeli, ippogrifi, ecc.  La chiave chiude il retro e tiene unite le due stanghe: è scolpita in bassorilievo con scene che raffigurano episodi cavallereschi, o soggetti religiosi o di vita popolare.
I legnami utilizzati sono: noce e faggio per i masciddari e per il purtieddu, abete per la cassa, frassino di Cefalù per le ruote e i raggi, faggio scelto per le aste.  A seconda della ricchezza degli intagli e delle pitture il carro può essere: semplice, quando è appena intagliato e colorato con una mano di azzurro su cui spiccano dei motivi decorativi in rosso e giallo; padronale, quando è costruito in legno pregiato e non resta nemmeno un centimetro quadrato senza intaglio o colore. 

La pittura
Come per le carrozze, le portantine e le lettighe anche per il carro (nella prima metà dell'Ottocento) invalse l'uso di farlo dipingere, sia per un fatto estetico, ma sia anche per proteggere il legno dalle intemperie. La violenta policromia dei colori rossi, gialli, verdi, blu, lo ha fatto definire da Gesualdo Bufalino un favoloso fiammeggiante tabernacolo semovente e molto tempo prima lo scrittore francese, Renato Bazin,  sempre per le pitture, paragonò il carretto siciliano al poema più originale e più suggestivo che vi sia.
All'inizio, essendo in gran voga l'opera dei pupi, sulle sponde dei carri predominarono episodi delle leggende cavalleresche. In seguito, con il diffondersi dell'istruzione e durante il Risorgimento, vennero raffigurati personaggi e fatti storici. Poi grazie al diffusione della musica lirica comparirono Otello, Alfio, Turiddu, ecc. nonchè scene religiose, vite di santi ecc. 
Nel carretto le parti più appariscenti sono i masciddara e u purtieddu. Sulle sponde è raccontata una storia in quattro riquadri (due per parte): i motivi più ricorrenti sono quelli a carattere epico-cavalleresco, e poi il Vespro siciliano, lo sbarco dei Mille, Santa Genoveffa, la Cavalleria Rusticana, i tre Moschettieri, ecc. spesso accompagnati da brevi didascalie. Lo sportello posteriore (mobile) è diviso in tre riquadri sui quali vengono raffigurate scene diverse da quelle delle sponde. Al centro di solito c'è un San Giorgio a cavallo che uccide il drago, ai lati paladini, ballerine o altro. 
Molti sono i pittori di carretti che ancora oggi fanno con passione questo lavoro o lo hanno fatto fino a qualche hanno fa. Oltre al citato Domenico Di Mauro,  ricordiamo: Ignazio Russo (il Michelangelo del carretto), Nerina Chiarenza, Angelo Pesente (Burritta), Giuseppe Leggio, Ignazio Baglieri, e tanti altri ancora.

I carrettieri 
Per un carrettiere un carro ben dipinto era simbolo di prestigio sociale; però era il cavallo l'orgoglio del carrettiere tanto che erano assai frequenti le sfide per mettere alla prova la potenza e l'ardore del proprio compagno di lavoro. 
Fino a meno di cinquant'anni fa carretti e carrettieri si incrociavano numerosi sulle nostre strade polverose, (a Floridia, nel 1884 i carrettieri fondarono addirittura la "Società Operaia Savoja di Mutuo Soccorso fra i Carrettieri di Floridia" con tanto di Statuto), sia in estate e sia in inverno, sia di giorno e sia di notte, riconoscibili anche a distanza per la luce fioca ed inconfondibile del lume a petrolio. Il rumore del  carretto, monotono, cadenzato, accompagnava la loro solitudine e ad esso il carrettiere intonava le sue nenie, il suo canto dalle melodiose cadenze arabe: "A Nuotu mi fu datu 'n partuallu / A Sarausa 'na bella lumìa / 'N Palermu ci nn'è 'n peri carricatu / E li ramuzzi tuoccunu la via. / Ri sutta cc'è 'n littuzzu ben cunzatu / E si ci curca l'amanti mia".

     IL CORRIERE DEGLI IBLEI, marzo 2002

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