«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

ERAN VENTUNO: Don "Giorgiu" (Giorgio Licitra)


Nato a Ragusa il 3 marzo del 1880, don "Giorgiu"  incominciò a bazzicare a Palazzolo fin da piccolo, quando ancora la canapa dalle nostre parti era intensamente coltivata. Assieme al padre cordaio compravano la materia prima per la loro attività e a Ragusa la trasformavano in corde che poi vendevano nel loro stesso negozio.
Perduto il padre nel 1891, si mise a lavorare con lo zio che faceva il "crivaru", sempre a Ragusa. Durante le fiere girava per i paesi a vendere "criva" e setacci di tutte le misure. Assieme allo zio, ogni anno, con la sua mercanzia veniva a Palazzolo per la fiera di S. Paolo e per quella di S. Sebastiano; fu qui che, appena ventenne, don "Giorgiu" conobbe Mariannina, la donna che poi diventò sua moglie.
A Palazzolo quindi impiantò la sua prima bottega artigianale per la confezione e la vendita dei "criva", pur continuando a girare per fiere. Oltre ai crivelli costruiva pure le misure per i cereali: "iaruozzi", "tummuli", "munnia", "rumunnia", e i "circhi" per le "conche" e i "cunculini". Nel 1905 ottenne ufficialmente l’autorizzazione dell’Ufficio Metrico che garantiva la conformità delle misure per aridi da lui realizzati e lo autorizzava a contrassegnare a fuoco con il logo di detto ufficio ogni manufatto prodotto. Messa su casa, in seguito abbandonò l’attività di ambulante e si dedicò solamente al laboratorio-negozio. Nel 1915 si trasferì nel "tammusazzu" di via C. Alberto n. 16, lo stesso che ancora oggi, più o meno con la stessa tipologia di articoli, unitamente agli altri negozi strategicamente impiantati a levante e a ponente del paese, continua a portare avanti il nome della ditta “Giorgio Licitra”.
Ritornato a casa dopo la grande guerra, incominciò ad “allargarsi” e incrementò la gamma dei prodotti venduti: ai "criva" affiancò la vendita di stoviglie e terraglie provenienti da Caltagirone (piatti, "cantri", "cannate", pentole, giare per l’olio, per il miele, ecc.) e pure lo smercio di petrolio. Da un fusto di 200 litri piazzato sulla "cciappitula" di casa sua, di fronte al "tammusu", dove teneva per tutto il giorno in bella vista i "criva" di sua produzione, pompava petrolio per la folla di avventori che si accalcava per accaparrarsi il lampante necessario per la giornata: un quarto, un litro, mezzo litro. Più tardi, all’angolo con via Monastero piazzò pure una pompa a mano per la benzina (siamo verso la seconda metà degli anni ‘20).
Intanto incominciarono a collaborarlo i due figli, Francesco e Giovanni, e con il passare del tempo, il negozio andava sempre più avanti e si arricchiva di tanti altri generi, capaci di soddisfare le più disparate esigenze di qualsiasi famiglia, da quella abbiente a quella del ceto popolare e contadino, fino a diventare un vero punto di riferimento per Palazzolesi e non. I contadini della zona sapevano dove andare per qualsiasi necessità: falci, zappe, "marrugghi", "criva i gghiuògghiu" (per separare il loglio dal grano), "rituni" per il trasporto della paglia, tridenti e pale per l’aia, "sidduna", "cavagne" di canna, fiscelle di giunco, ombrelli cerati di Acireale per i carretti, cordami di tutti i tipi, "petra cilesti" contro il "fumu" della sementi, "picireca", zolfo per i pomodori. L’odore prevalente e più penetrante dentro il negozio, tra quel coacervo infinito di tanfi, era proprio quello dello zolfo: oltre ad avviluppare per ventiquattro ore su ventiquattro don "Giorgiu", figli e nipoti, “infettava” pure per tutta la giornata gli avventori che entravano momentaneamente nel negozio.
In apparente disordine, lo stesso che ancora oggi si nota nello stesso primigenio negozio di via C. Alberto, erano accozzate merci di vario uso e utilità: terre per i colori, olio di lino, colle naturali, "spiritere", primus, lumi a petrolio, utensileria, linosa per cataplasmi, spezie varie, zucchero a pietra, semolato, vaniglia, lieviti, estratti per liquori, pastiglie valda, “pastiglie” di castagna, sputacchiere, citrato; a terra, davanti il bancone della cassa erano allineati i sacchi di iuta con l’orlo rimboccato da cui spuntava il manico della sassola:  erano pieni di castagne secche, di zucchero, di zolfo; ma poi si vendevano pure filati, cotone per le calze, oggetti in rame, cappelli di paglia, scope, cornici, tendine. Don Giorgiu era anche concessionario di Stato per la vendita all’ingrosso dei fiammiferi in legno ai tabaccai.
Aveva una faccia grande e larga da antico romano. Era di media statura, robusto, con gli occhi celesti e i capelli corti, all’umberta. Portava un paio di occhiali da miope cerchiati di osso e aveva delle grosse mani, buone, che, assieme alla sua creatività gli risolvevano i piccoli problemi inerenti al suo mestiere. Era un uomo serafico, non perdeva mai la pazienza, mai una parola a voce alta, mai uno scatto d’ira; sornione, scherzava amichevolmente con chiunque senza mai esagerare e tuttavia aveva carisma:  i clienti si fidavano a occhi chiusi di lui, e lo rispettavano per la sua competenza ed onestà. I ragazzi che andavano a comprare il petrolio o la "dimura" (“’ntrattinimentu - lo chiama Pitrè - col quale si cerca di allontanare da noi un fanciullo e di tenerlo un po’ a bada ordinandogli di andare in un posto, da una persona, e di prendere un po’ di trattenimento…”) o altro, non uscivano mai a mani vuote: una “pastiglia” secca, o qualche caramellina Valda, o un pezzo di zucchero, un pizzico di citratu li rimediavano sempre, assieme a qualche battuta spiritosa.
Era generoso, non assillava mai i debitori e favoriva in tutti i modi e con discrezione gli artigiani in difficoltà. Nell’immediato dopoguerra ogni venerdì mattina, di prima ora, davanti al negozio, i nipoti Giovanni e Giorgio erano incaricati di distribuire due ceste di pane (quello bianco, pane di Sant’Antonio lui lo chiamava) ai bisognosi che lo chiedevano. Ma soprattutto don "Giorgiu" era un gran lavoratore, indefesso. Stava inchiodato dalla mattina alla sera nel suo "tammusu", 365 giorni l’anno, senza ferie, senza vizi, dietro il bancone o all’ingresso, con gli occhiali sulla punta del naso con una sciarpa al collo a fare "criva" e "circa" e a vendere roba.
E sempre lì dentro ha chiuso la sua esistenza, quando, ultra ottantenne e smesso di lavorare, figli e nipoti hanno preso in mano l’azienda, diventata poi trina. D’inverno con uno scialletto grigio sulle spalle e il "cunculinu" sulle gambe stretto tra le mani nodose, se ne stava tutto aggruppato dietro il bancone della cassa, un po’ discosto, a destra, quasi in ombra: seguiva il “traffico” del negozio e sembrava covare con uno sguardo quasi materno tutto quello che accadeva, nel mentre una goccetta, di tanto in tanto, gli pencolava dal naso.
Un giorno si e uno no si faceva radere, sempre nel negozio, dal suo amico don "Ciccinu Iaddina", barbiere di fiducia per oltre 50 anni. Lo stesso faceva, quando, periodicamente si doveva fare salassare da don "Paolu Pena": sempre dentro il negozio. Messagli sotto una bacinella con un po’ d’acqua e legatogli l’emostatico al braccio, don Paolo, barbiere, flebotomo, calzolaio e cava denti in via Nicolò Zocco, con la lancetta gli apriva la vena e gli cavava fuori il sangue “superfluo” – “Don Giorgiu, cuntamu sordi, cuntamu sordi” - gli soleva ripetere don "Paulu" durante l’operazione per agevolare con il movimento delle dita la fuoriuscita del sangue.
La domenica era consacrata alla messa, quella dell’alba, a san Sebastiano. Si sedeva qua in fondo, a sinistra; a destra prendeva posto don "Ciccinu" Caligiore. Poi assieme andavano a casa sua (di don "Giorgiu") per la sbarbatura domenicale, dopo di che chiudevano la seduta con un ricco caffè.
Era appassionato di musica classica don "Giorgiu", e per san Sebastiano, da casa si faceva portare una sedia in piazza e si godeva la musica a palco in prima fila: Beethoven, Mozart, Rossini… Quando non trovava posto si sedeva al balcone mezzanino di casa sua, all’angolo di via C. Alberto, proprio di fronte a piazza del Popolo, e così, standosene comodamente dentro poteva godersi musica e spettacolo.

Una famiglia patriarcale quella di don "Giorgiu". Una storia esemplare, quella di quest’uomo, sia dal punto di vista dell’attaccamento alla famiglia e al lavoro e sia dal punto di vista della correttezza commerciale. Una famiglia  che ha contribuito a fare la storia dell’imprenditoria e dell’economia palazzolese  e ancora oggi continua a rimanere sul campo con la stessa filosofia del capostipite, continuando a dare lustro alla ditta “Giorgio Licitra”.

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