«Tre cose sottili sono il maggior sostegno del mondo: il sottil rivolo di latte dalla mammella della mucca dentro il secchio; la foglia sottile del frumento ancora verde sulla terra; il filo sottile sulla mano di una donna industriosa. Tre rumori di prosperità: il muggito di una mucca gonfia di latte; il tintinnio del ferro di una fucina; il fruscio di un aratro.» (The Trials of Ireland, secolo IX)

VECCHIE TRADIZIONI DI NATALE

 Carnagghi, sangunazzu, a zuccata ri natali, a cucciaredda

          

"A nuvena, a nuvena … a nuvena, a nuvena …". Alle cinque del mattino, al primo rintocco, i ragazzi balzavano giù dal letto, assonnati e affreddati, e giravano di porta in porta per annunciare la novena che precedeva la messa dell'alba. Le chiese, all'alba, si gremivano trent'anni fa.

Molte sono le tradizioni natalizie che ancora resistono e trovano larga diffusione in Sicilia e che, pur diverse da luogo a luogo, danno un aspetto, un "sapore" caratteristico alla festività. Le più solide e radicate sono quelle gastronomiche, e non solo per una esigenza di godimento materiale, ma anche per il ,desiderio di incontro con gli altri, per cui, il banchetto acquista un significato di affratellamento e di amicizia.

I carnagghi e il porco
Con l'approssimarsi del Natale, nei centri agricoli c'era la consuetudine da parte dei fittavoli di portare i carnagghi  al padrone. Era questo, un uso molto antico esteso a tutta la Sicilia che si rispettava puntualmente anche per le feste di Carnevale e di Pasqua e a chiusura della stagione agricola. Le appendizie dovute al padrone, erano previste nei contratti agrari stipulati con i gabelloti; in genere erano costituite da capretti, polli, formaggi priminticci , ricottelle, uova, retoni di paglia frumentina, cofini di fichi d'India, e così via.
Altra tradizione natalizia, peraltro ancora in uso sia nelle famiglie contadine e sia in quelle borghesi, era quella del porco, del porco nero: lo si ammazzava e lo si magnificava! Per evitare spiate e per non pagare il dazio, l'olocausto si compiva clandestinamente e con la complicità delle tenebre.
Si legava l'animale per le zampe e si cercava di immobilizzarlo su una specie di tavolo sacrificale approntato con dei trespoli e una porta vecchia. Trafitto alla gola l'animale iniziava a mugghiare e a sgriddare a più non posso; tutt'intorno c'era il ballo di S. Vito: chi lo teneva, chi raccoglieva il sangue zampillante, chi attizzava la brace, chi lo scaurava e chi lo "spilava" dando a raschiare la cotenna con il coltello.
Sventrato, veniva fuori, ancora fumante, tanta grazia di Dio da far confondere. Poi si squartava e si dividdeva in "minzini", due o quattro.

U sangunazzu
Il sangue, insaporito con latte, un po' di zucchero, prezzemolo, noci pestate e pepe nero, e insaccato dentro il cularinu, si metteva a bollire e diventava squisito mallegato (sangunazzu). Le interiora, arrostite alla brace, si trasformavano in prelibati bocconcini da consumare subito, oppure, sposate a tenere cipolline, si trasformavano in succulente padellate, delle quali in breve tempo non rimaneva nessuna traccia.
I minzini, a seconda della parte anatomica di provenienza, diventavano salsiccia pepata rossa e impastata con vino e finocchietto, lardo salato pepato nero, pancetta, gelatina, strutto, insomma tutto ciò che è possibile rimediare dal maiale.

A zuccata ri natali
Un'altra tradizione popolare diffusa nell'isola, era quella di bruciare il ceppo (u zuccu), nella notte della vigilia, sul piazzale delle chiese. A Palazzolo, nelle case contadine all'imbrunire dello stesso giorno, si preparava a zuccata ri Natali. Dentro il braciere, all'aperto, si accendeva una bella cuncata ri luci, poi, quando le vampe incominciavano ad acquietarsi, si portava dentro. Attorno a quel turibolo ardente, si riunivano la famiglia e i parenti più stretti in attesa della Natività: era un rito "sacrale" che si rinnovava immancabilmente ogni anno.

A  cucciaredda
Si cenava di prima sera con pietanze a base di baccalà e con 'mpanate a base di broccoli e aìti (bietole selvatiche) arricchite con pezzetti di salsiccia piccante, e poi, mentre le donne erano intente a friggere le crispelle da consumare calde calde con lo zucchero o intinte nel miele (caldo anch'esso), si stava attorno alla zuccata: si spiluccavano lupini, si mangiucchiavano patate e pere succiarduna cotte nella cenere, si giocava a carte, si beveva, si chiacchierava. La brace doveva durare sino all'alba. Con questo si voleva significare, secondo l'antica simbologia popolare, che il cristiano intendeva riscaldare il Santo Bambino appena nato. Era un atto di amore e di fede.
"La gente volgare dà un panuccio bislungo spaccato nelle estremità nelle feste del bambino… detto volgarmente cucciaredda …", questo annotava nella sua Selva, verso la fine del secolo scorso, P. Giacinto Farina da Palazzolo. E pure questa era una tradizione natalizia assai diffusa nell'area iblea e in tante altre zone dell'isola. Ne ha ampiamente scritto anche Antonino Uccello.
Si tratta di un pane figurato, simbolico, risultante dalla congiunzione di due mazzi pani e guarnito in superficie con nocciole intere. Veniva regalato ai bambini, e alle suocere se ne destinava una forma più grande. Tale tradizione non è scomparsa del tutto, anzi da un paio di anni, a Palazzolo un forno pubblico s'è messo a panificare e a sfornare cucciareddi per tutti coloro che hanno voglia di fare un tuffo nel passato

CAMMINO, settimanale diocesano, 25 dicembre 1994


N.B. La salsiccia tradizionale di suino nero di Palazzolo, dal mese di novembre 2016, è diventata Presidio Slow Food. 

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